Ristoranti che pubblicano i piatti del loro menu da tutte le angolazioni possibili e immaginabili.
Aziende che pubblicano il mitico volantone delle offerte in formato 6×3 (fortunatamente – per noi- in scala 100:1!).
Ancora oggi, nonostante tutte le ripetizioni del caso presenti sul web e sui social, i contenuti pubblicati sulle bacheche delle pagine aziendali sono per la maggior parte noiosi, poco creativi e molto egocentrici.
Quando fecero la loro comparsa nelle nostre vite, i social media sembravano davvero di poter cambiare il nostro modo di vivere i rapporti (a distanza), il tempo libero e addirittura anche l’informazione. Poi qualcuno pensò di aggiungere il suffisso “marketing”, acronimi e formule per calcolarne l’efficacia e tutto cambiò: i social media cambiarono, sia nella forma che nella sostanza.
Tutti hanno pensato (almeno per un attimo) di poter cambiare le loro vite: fare marketing sui social significava non avere più limiti geografici. Il mercato globale diventava finalmente alla portata di tutti. Ma poi? Poi bisognava fare i conti: con la lingua, con gli stati, con le tasse, con le leggi.
E così, mentre l’economia mondiale rallentava, in molti hanno pensato di affidarsi al web e di fare a meno di collaboratori e personale – riducendo i costi. In questo modo hanno, pian piano, perso la fiducia dei loro clienti, che per tutta risposta si sono rivolti altrove – riducendo i guadagni.
Ma torniamo ai social. Perché chi si è lanciato in quest’avventura, sottovalutandone portata ed effetti, oggi si trova con un pugno di mosche in mano?
Forse perché si è fatto fuorviare dal suffisso “marketing”, intendendolo ancora in accezione da rappresentante porta-a-porta, in voga negli anni ’80: questa è la mia ipotesi.
Ecco perché in pochi danno peso alla formazione o alla presenza di una figura professionale che si occupi della presenza aziendale sui social. D’altra parte, parliamo di realtà medio-piccole abituate a portare in copisteria documenti word pronti per essere stampati: oggi pubblicano direttamente la foto scattata dall’iPad o dallo smartphone e filtrata con una delle tante App disponibili sul mercato. E il gioco è fatto. E’ tutto ancora più semplice.
E finché all’inizio arrivano i like dei soliti noti (amici, parenti, conoscenti e clienti) è tutto rose e fiori. Ma poi? Eh, poi bisogna vendere e in preda all’esasperazione si cominciano a pubblicare sempre le solite immagini, con testi descrittivi degni della peggiore brochure datata.
L’unico vero problema sui social è la mancanza di approccio al marketing, quello vero. E dire che ce ne sono di esempi da seguire.
Una domanda: hai mai visto, almeno nell’ultimo anno, il noto marchio Ceres pubblicare un’offerta di sconto sull’acquisto di un prodotto specifico? Hai dato un’occhiata alle pubblicazioni di Ikea e letto descrizioni sterili in stile “nome modello”, dimensioni, colori, prezzo? E vogliamo tirare in ballo anche la CocaCola e andare a controllare la sua presenza sui social alla ricerca di un’esplicita richiesta di acquisto al popolo del web? E dulcis in fundo, Gordon Ramsay (chi mi conosce sa che lo ammiro!) che nel “suo piccolo” non chiede di prenotare il tavolo in uno dei suoi ristoranti sparsi per il mondo, ma…
Vai pure a controllare e stai certo che non troverai nulla di egocentrico e noioso. Mai due contenuti ripetuti (n.d.a. Anche se a volte sembrano monotematici – è palese – lo sono in modo creativo), niente descrizioni standardizzate, nessun riferimento ad acquisto estemporaneo.
L’elemento che accomuna i contenuti dei grandi (Personal) Brand appena citati? Il cliente e le relazioni al centro di tutto.
Se parliamo di Ceres o CocaCola, i contenuti tenderanno a stupire per creatività, simpatia o utilità.
Ceres e l’entrata in vigore dell’ora legale
Ceres e la devastazione di Roma
CocaCola e il caldo
Se parliamo di Ikea, i contenuti tenderanno ad ispirare ed informare.
Ikea e i ricordi
Se parliamo di Gordon Ramsay, i contenuti saranno il giusto mix tra vita privata e risultati professionali.
(n.d.a. La birra mi piace, ma da quando Ceres mi diverte e mi ispira con i suoi contenuti sui social, se mi viene proposta tra le scelte non ho dubbi: scelgo Ceres – per dire che questo tipo di marketing dà i suoi risultati!)
Quindi basta con il marketing anni ’80: umanizzati. Relazionati. Ispira, diverti, informa, allo stesso modo in cui lo fai coi tuoi amici: perché questo sono i clienti, sui social. Sono persone di cui hai meritato la fiducia e che non vedono l’ora di condividere i tuoi contenuti, se gliene fai venire voglia (n.d.a. Ti assicuro che se li taggate nelle pubblicazioni, la voglia si può trasformare in tempi rapidi in sentimenti poco piacevoli #leggedeisocial).
E tu hai notato la differenza di approccio dei vari Brand online? Il content marketing è da te o preferisci formarti o affidarti? Ti aspetto nei commenti e intanto Have Fun & Share It 😉
4 Comments
Un bel post motivante per chi si occupa di Content Marketing! 😀
E mi auguro anche per chi non riesce a distogliere l’attenzione dal marketing anni ’80 Pasquale 😀
Ciao Cinzia,
stupendo articolo e case history davvero affascinante, è sbalorditivo constatare come si possa mettere in pratica delle iniziative di marketing visivo al solo costo di creatività e fantasia. Si vede che la classe – nel muoversi sui social – non è acqua…
Grazie Ilario 🙂 eh si, serve guardare le cose da prospettive diverse e con occhi nuovi: focalizzarti troppo sui prodotti fa perdere di vista il resto 😉