Facebook cambia di nuovo l’algoritmo. E lo fa, come sempre, partendo dal suo popolo. Perché a Palo Alto quando hanno un’idea, prima di realizzarla, chiedono ai fruitori del sistema se possa davvero essere una modifica utile ai fini dell’utilità e usabilità del prodotto.
E quando chiedi consigli e suggerimenti, quando fai sentire parte integrante del sistema i “tuoi clienti” loro partecipano, eccome se partecipano!
Gli utenti si sono lamentati per la presenza di troppe notizie false e titoli sensazionalistici nella loro home e Facebook ha deciso di correre ai ripari: non cancellando i post segnalati né andando a controllare la veridicità dei contenuti – d’altra parte sarebbe uno sforzo sovrumano – ma limitandosi ad avvertire che quel contenuto è stato più volte segnalato come falso.
E ha deciso di intraprendere quest’azione di pulizia perché è stato notato che quando una persona condivide una notizia poi riconosciuta come “bufala” tende a cancellarla dalla sua bacheca, soprattutto se a fargli notare la bufala è qualche amico che magari, per completezza, condivide pure il link che sbugiarda la notizia falsa.
Si sa quanto è, allo stesso tempo, imponente e fragile il nostro Ego: difficile trovare qualcuno disposto ad ammettere di esserci cascato, di aver creduto ad una baggianata, di aver fatto la figura del credulone su pubblica piazza. Ne va della nostra reputazione: si rischia di essere presi di mira e diventare oggetto di scherno da parte degli “amici” (nda. strano considerare amico chi non perde l’occasione di deriderti!).
Ma se nella realtà la risposta ad una risata può variare dall’arrossire allo scappellotto alla lista completa delle figuracce dell’amico degli ultimi vent’anni, online la situazione è diversa: siamo tra amici è vero, ma ci sono amici vecchi e amici nuovi, amici mai visti, amici che ci conoscono diversamente, amici che ci credono superman, amici che si fingono tali e aspettano un passo falso per ridere rumorosamente di noi.
E allora cancelliamo il post incriminato e lasciamo cadere la cosa nel nulla. In un paio di giorni nessuno se ne ricorderà più, perché presi da altro e la nostra reputazione sarà salva.
Così Facebook per evitarci questa doppia “figuraccia” (prima per la pubblicazione, poi per la cancellazione della bufala), ha scelto di affidarsi al suo popolo, per essere messo in condizione di riconoscere i contenuti balordi da tenere lontani dalle nostre bacheche.
Quindi da domani tutti paladini dell’informazione!
Tutti attenti ad analizzare i titoli, a leggere articoli, a verificare le fonti, a cercare elementi per poter essere i primi a gridare “al falso, al falso”.
Potrebbe funzionare. In un mondo perfetto, questo approccio potrebbe anche funzionare. Ma nel nostro?
Da un lato Facebook si fida e si affida al suo popolo per garantire la veridicità delle fonti, dall’altro delega ad una massa informe ed incontrollata il controllo dei contenuti, senza tener conto di quanto i sette peccati capitali siano parte delle nostre vite.
Ma davvero Mark & co. credono che il popolo del web sia buono e che il bene vinca sempre sul male oppure siamo di fronte all’ennesimo esempio di “case study” in cui gli attori principali coincidono con le cavie?
E se da un lato ammonisce indirettamente i monelli del web, dall’altro assicura che gli affari sono salvi e che a vedere calare drasticamente la partecipazione ai contenuti saranno quelli che i loro contenuti verranno segnalati più spesso come bufale.
Senza tener conto che gli “amici”, a maggior ragione quelli (s)conosciuti su Facebook, sono come i bambini: capaci di farti del bene e del male con la stessa destabilizzante naturalezza.
Senza tener conto che i nemici, avendo carta bianca e anonimato assicurato, possono decidere del tuo futuro con un clic. E per avere dei nemici non serve essere una cattiva persona: basta trovarne una frustrata che per sentirsi realizzata ha bisogno di schiacciare prima tutti quelli che incontra sul suo cammino.
Tim Berners Lee, co-inventore con Robert Cailliau del World Wide Web, diceva che
Il web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnologica
E per innovazione sociale intendeva una trasformazione continua che investe ogni aspetto della vita delle persone che ne fanno parte, ne sono convinta. E questa chiave di lettura è innegabile.
Ma ho come l’impressione che questa trasformazione ci abbia preso la mano e che vivendo in una campana di vetro le nostre fragilità (psicologiche) si siano amplificate. O forse siamo stati investiti da troppe responsabilità in tempi troppo brevi. Questa sovranità del popolo ci ha fatto girare la testa e ci sta spingendo in direzioni diverse.
C’è chi è confuso di suo e non sa se prendere decisioni o lasciarsi cullare dalle idee altrui, seminando like a destra e a manca. C’è chi si è sentito chiamato in causa e ha deciso di ergersi a paladino della giustizia per gli argomenti che gli stanno più a cuore, impegnandosi in battaglie perse in partenza, il più delle volte. C’è chi si lascia trascinare dalla stessa passione ma va in direzione opposta, sfruttando le leve dei vizi invece che delle virtù, portando a casa risultati più soddisfacenti.
In questa finestra sul mondo ci sentiamo tutti liberi. Liberi di pensare. Liberi di dire. Liberi di fare.
Ma la libertà è solo una faccia della medaglia: dall’altro lato c’è’ la responsabilità.
La responsabilità di ciò che si pensa, di ciò che si dice, di ciò che si fa. In pochi la (ri)conoscono e rischiamo di ritrovarci in piena anarchia.
A questo punto mi chiedo: siamo davvero pronti a vivere nella “democrazia” di Facebook?
ps.
La nota ufficiale si conclude con un chiaro riferimento ai fatti di Parigi con la specifica che “Durante i test, abbiamo notato che la gente non segnala i contenuti satirici, né se sono umoristici né se sono palesemente satirici.
Quindi questo tipo di contenuti non saranno presi in considerazione in questo aggiornamento”, ma nel prossimo magari si. Cominciamo a affinare le capacità satiriche, sarcastiche, ciniche perché potrebbero tornarci utili in futuro. Ma questo significherà “uniformare e livellare” il nostro sentire e la nostra sensibilità o riusciremo a mantenere vive delle differenze (storiche ed educative) tra i popoli?