Da piccola, ogni volta che salivo in auto con mio padre, passavo il tempo a guardare come muoveva i piedi da un pedale all’altro, mentre con una mano teneva il volante e con l’altra il cambio in totale scioltezza, con la stessa semplicità con cui io riuscivo, al massimo, a bere un bicchiere d’acqua.
Quando è arrivato per me il momento delle lezioni di guida per prendere la patente, ho avuto modo di notare che non tutti avevano lo stesso rapporto con le auto.
C’era chi sfiorava il cambio manco fosse stato un cane rabbioso, pronto a mordere, e l’auto si muoveva “a singhiozzo”. C’era chi invece lo impugnava e lo strattonava come se fosse stato pesantissimo e la guida risultava rigida e i movimenti dell’auto netti e schizofrenici. C’era chi invece lo muoveva con assoluta naturalezza e l’auto sembrava scivolare sulla strada come una biglia su una stola di raso.
Ma per quanto si potesse essere più o meno bravi alla guida, c’era un tallone d’Achille valido per tantissimi (anche tra quelli con la guida di raso): il parcheggio.
Riuscire a parcheggiare non era solo una questione di capacità, ma anche di tecnica. E frequentavamo la scuola guida proprio per imparare quest’ultima. Perché la capacità di sentirti a tuo agio alla guida di un mezzo o ce l’hai o non ce l’hai, ma puoi svilupparla e affinarla grazie alla tecnica.
Oggi sembra che la tecnica non serva più e che la tecnologia possa tranquillamente prendere il suo posto. Sono rimasta colpita dalla pubblicità della nuova Ford Focus e soprattutto dalla frase “l’impossibile diventa possibile“.
Riconosciuto che parcheggiare è un problema comune a tanti, un numero non specificato di menti eccelse si è messo al servizio della tecnologia per riuscire a trovare una soluzione utile e definitiva al problema. Così è nato Active Park Assistant, una specie di assistente personale in grado di parcheggiare al posto nostro, anche nei parcheggi a pettine.
Da un punto di vista del marketing l’idea della pubblicità è davvero carina e dà dimostrazione dell’ottimo motivo per cui bisognerebbe comprare una focus, ma dall’altro lato mi chiedo se utilizzare il progresso e gli strumenti che ci mette a disposizione non possa atrofizzare il nostro cervello e ridurre le nostre capacità.
Un’auto dotata di sensori per il parcheggio è tecnologia (la manovra comunque la devi saper fare ma con un aiuto che va oltre gli specchietti retrovisori), un’auto che spegne il motore ai semafori per ridurre le emissioni inquinanti e il consumo di benzina è tecnologia (nessuno di noi lo farebbe, pur sapendo che sarebbe corretto, per evitare il senso di castrazione allo scattare del verde), un’auto che fa le manovre al posto tuo riduce le tue capacità (perché non ti serve più averle).
Andiamo sempre più velocemente verso l’Internet delle cose (IoT – Internet of Things) e a guardarlo potrebbe non sembrare una vittoria dell’uomo sulla tecnologia, ma un utilizzo sano degli strumenti: un insieme di oggetti che collaborano con noi per regalarci più tempo libero da poter dedicare ai nostri affetti e alle nostre passioni, rendere le nostre vite più vivibili e sicure.
Ma se penso a strumenti che ci permetteranno di sapere vita, morte e passione di tutti quelli che incroceremo sulla nostra strada, con la sola imposizione del pensiero, credo che sia un’applicazione snaturata della tecnologia e del progresso.
L’uso smodato della tecnologia nelle nostre vite, mi spaventa. Ma sia chiaro: non sono gli strumenti in sé a spaventarmi quanto l’uso sbagliato che ne può derivare. Anche la calcolatrice è un ottimo “revisore dei conti”, ma se nelle scuole abituano al suo utilizzo prevedo l’atrofizzazione delle capacità matematiche. Ci vuole misura. Questo dico.
Qualche mese fa quel visionario di Rudy Bandiera mi ha chiesto di contribuire al suo libro con un racconto “visionario” sull’IoT: a rileggerlo oggi penso di essere rimasta indietro coi tempi e di avere ancora una visione molto umana del nostro pianeta. Ma d’altra parte essere ridotti all’ozio e alla pigrizia, all’indifferenza, alla monotonia e all’apatia non riesco a vederlo come un merito del progresso.
Vi lascio con il mio raccontino e vi chiedo: voi come la vedete e cosa ne pensate sull’argomento?
Stamattina sveglia all’alba. L’aria è fresca e pulita fuori: l’ideale per una bella corsetta! Ma prima devo riuscire a svegliare Poldo, il mio cane! Poi accedo al sistema (per fortuna mi riconosce anche con la voce rauca di questi giorni d’inverno!). Adesso sono pronta a partire.
Per la strada solo il rumore dei miei passi e quelli di Poldo: secondo quanto scritto sul suo collare oggi dovrebbe consumare almeno cinquecento calorie o rischia di non essere in forma. Ma il vero problema sarà il ritorno a casa e la piccola quantità di cibo che il sistema avrà rilasciato nella sua ciotola. Ma lo faccio per la sua salute: la dieta accoppiata ad uno stile di vita attivo, aiuta il mio buon migliore amico a mantenersi in forma!
Seconda traversa a destra e inizia il percorso vero e proprio. Mi lancio in una corsa lenta ma inesorabile: il display delle mie scarpette mi mostra quanta distanza ho percorso e mi notifica che sto andando troppo lentamente, in perfetto stile zombie. E va bene, ho capito: devo accelerare il passo e impegnarmi di più.
Adesso va meglio, vedo i numeri che scorrono sul display più velocemente e con costanza. Inspiro dal naso ed espiro dalla bocca, facendo fumetti nell’aria. Gli alberi alti che mi circondano mi danno un senso di protezione e libertà allo stesso tempo.
L’aria fredda mi ha quasi asciugato la gola: sento il bisogno di bere e anche il sensore tatuato sul braccio mi conferma la cosa. La mia performance fisica è ottimale, ma il livello di idratazione è in calo: bisogna fare qualcosa e subito (visto che dall’altro lato del sistema mio padre potrebbe accorgersi della cosa e chiamarmi!). E con i livelli normalizzati, posso finalmente far ritorno a casa e penso: fino a pochi anni fa era un sogno, oggi invece a due chilometri da casa, il sistema è stato avvisato del mio rientro e ha attivato lo scaldabagno. Nessuna perdita di tempo. Tutto perfettamente organizzato e ottimizzato.
Mi asciugo, mi vesto e mi fiondo in auto, imposto il navigatore: direzione ufficio e il pilota automatico prende il controllo mentre io mi faccio la bella chiacchierata con il personal coach.
Si discute degli impegni e degli obiettivi quotidiani, delle piccole incomprensioni da risolvere con colleghi e clienti, degli argomenti da trattare (e di come farlo) nel convegno organizzato che si terrà nel pomeriggio: un’iniezione motivazionale e di grande ispirazione!
Sarà una giornata impegnativa, quindi meglio cercare di non strafare o il mio controllore del sonno potrebbe emettere dei suoni a ripetizione che potrebbero disturbare tutti: purtroppo quando a volte capita che dormo meno del previsto (come ad esempio stanotte per una serie di malesseri dei miei figli), il controllore comincia a dare segni di squilibrio verso le sedici (e oggi sarebbe la giornata sbagliata per suonare, soprattutto in pieno convegno).
Arrivo in ufficio, è bello trovarlo già caldo. Il condizionatore e la macchinetta del caffè li attivo mentre sono in fila all’ultimo semaforo: ho fatto diversi studi e calcoli sui tempi corretti. Adesso ho raggiunto il top: l’ufficio è davvero accogliente e il profumo di caffè mi inebria già.
Nel frattempo mi è arrivata la notifica via email della presenza dei miei figli a scuola: anche per oggi mi è andata bene, direi.
A questo la giornata lavorativa vera e propria ha inizio. Tra un cliente e l’altro devo anche ricordarmi di fare la spesa, o meglio farla fare.. al frigorifero! Oggi giorno, basta premere un pulsante dallo smartphone per attivare la scansione del contenuto del frigorifero, la lista dei prodotti presenti, la lista di quelli mancanti e l’invio dell’email al supermercato di fiducia: il pagamento è automatico tramite carta di credito e il fattorino recapita tutto a casa. Ma la spesa in frigo qualcuno la deve pur sempre sistemare!
E finalmente è tempo di pausa pranzo. Ho già acceso il forno (via sms) e le lasagne sono già in cottura: devo sbrigarmi a tornare a casa o non ne troverò nemmeno una porzione. Inserisco l’indirizzo nel navigatore e si torna a casa. E mentre sto controllando che i miei genitori abbiano preso correttamente le loro pillole (tramite app dedicata), un’auto mi sfreccia accanto e inchioda al semaforo poco più avanti. Per fortuna i sensori della mia auto hanno già verificato le distanze e la mia auto rallenta senza indugi e in tutta sicurezza.
E dopo aver consumato il pranzo con i miei figli (e aver controllato i loro risultati scolastici quotidiani, via email) posso riposarmi un po’ e lo faccio prendendo il sole in terrazza: secondo il mio braccialetto di prevenzione posso prenderlo per non più di dodici minuti per tenere lontano il rischio di problemi alla pelle. Non mi rimane che farmeli bastare.
Ed ora è tutto pronto per il convegno: mi ricordo ancora di Minority Report, un film dei primi anni del 2000,e dello stupore che creò l’utilizzo di una lavagna virtuale e la possibilità di visualizzare in 3D file di varia natura come se si stesse utilizzando uno smartphone qualunque. E ritrovarti catapultata in quella realtà, beh ti fa davvero sentire smarrita e confusa, almeno le prime volte.
La cosa che adoro in tutto ciò è la traduzione integrata e in tempo reale del discorso di chi parla da parte del sistema: la trovo davvero una genialata come poche al mondo. Dopo un paio d’ore gli accordi sono finalmente conclusi e la giornata lavorativa volge al termine.
Dall’auto, sulla via del ritorno, non mi rimane che programmare l’attivazione del camino e finalmente mi rilasserò impastando dei cavatelli da mangiare col sugo, preparando un buon tiramisu, sorseggiando un buon bicchiere di lambrusco e aspettando il rientro di tutta la famiglia: l’unica cosa reale in questo farneticare di internet, domotica, automotive e vite ipercontrollate.
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Aiutoooo ! È l’unica cosa che mi viene in mente leggendo il racconto. Ci arriveremo, ne sono certa, per alcune cose ci siamo già arrivati, non so però se ho voglia di arrivarci, se ho voglia di fidarmi sempre di una macchina e di non pensare più a nulla se non alla sua programmazione. Le comodità mi piacciono, ci rendono la vita più vivibile però preferisco continuare ad usare quel poco di cervello che mi hanno dato, sbaglierò una volta di più ma pazienza, errare ci rende umani.