Nonostante le origini in una famiglia di uomini di mare, non sono mai impazzita né per il pesce né per la pesca, eccetto una breve parentesi estiva di circa quindici anni fa.
Mi sono ritrovata sulla spiaggia ad osservare due uomini, nonno e nipote, che, al tramonto, facevano surf casting.
Se ne stavano in silenzio, guardando il mare e controllando le loro canne sistemate a riva. Indossavano guanti in lattice per non sporcarsi eccessivamente le mani durante la sistemazione dell’esca sugli ami. Coreano, americano, bigattino, pastura casereccia: insomma avevano esche per i vari tipi di pesce che avrebbero popolato il mare nelle diverse fasce orarie.
Di tanto in tanto, prendevano una canna, la tiravano indietro fino a che la punta si allineava con le loro spalle, raccoglievano un paio di giri di mulinello e riportavano la canna davanti a loro.
E stavano fermi, un paio di minuti o anche meno, se sentivano suonare il campanellino posto sulla punta (n.d.a. considerato che è difficilissimo vedere i movimenti quasi impercettibili della canna quando un pesce sfiora l’esca, i pescatori usano questo analogico, ma sofisticato, strumento di segnalazione) e il filo tendersi e allungarsi: quella era una toccata, così mi spiegarono.
Quello più anziano, senza muovere la canna, avvolse mezzo giro di filo, tirando dolcemente verso l’alto la punta. E di nuovo giù. Altra toccata. Il pescatore ripeté l’operazione un paio di volte prima di capire che era arrivato il momento giusto: il momento giusto per non mollare più la presa, il momento giusto per far sua la preda.
E dopo una decina di minuti di movimenti lenti ma decisi, tira e molla, avanti e indietro, giri di mulinello, una bella spigola maculata era proprio a mezzo metro dalla riva.
Ad ogni tentativo di fuga, con un colpo di coda, sollevava la sabbia dal fondale per qualche attimo i suoi riflessi argentei non erano più visibili: un tentativo di depistaggio alternativo, lo definii io.
Un tentativo mal riuscito, visto che pochi secondi dopo, il pescatore corrucciò le sopracciglia, strinse le labbra e tirò fuori il pesce dall’acqua, assicurandosi il pranzo per il giorno dopo. E fu solo la prima della serata…
I pescatori sono pazienti, profondi conoscitori della zona di mare battuta, delle tipologie di pesci che la abitano e delle loro abitudini e sanno quando e come agire per assicurarsi il pasto.
Non ti sembra ci sia una notevole somiglianza con il marketing? Ho avuto la tua stessa sensazione! E infatti…
Non puoi usare un solo canale di comunicazione, ma devi usarne tanti insieme per attirare a te diversi tipi di clientela e massimizzare le tue vendite.
Di certo non puoi pensare di pescare una balena con un vermicello. Quindi adeguati! Usa vari tipi di “esche” per vari tipi di clientela (single, famiglie, privato, azienda, ecc.). Studia il mercato e organizzati di conseguenza.
Studia la tua clientela tipo, per capire di cosa ha bisogno in un dato momento storico e daglielo. Adeguati ai tempi e alle richieste del mercato: se non lo fai, rischi che la tua attività sia solo una perdita di tempo, di risorse e di denaro.
E tu quali altre regole della pesca suggeriresti di applicare al marketing? Have Fun & Share It 😉