L'uomo con la chitarra e il telone: a scuola di storytelling

L’uomo con la chitarra e il telone: a scuola di storytelling

L'uomo con la chitarra e il telone: a scuola di storytelling

Photocredit: cinziadimartino.it

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Sei un (personal) Brand? La tua storia è il nuovo marketing. Lo storytelling è lo strumento da utilizzare. Chitarra e telone non servono. O forse si?

Quando i miei genitori erano poco più che due bambini (non molti anni fa per la verità) la televisione era un oggetto per pochissimi eletti, si viveva molto il quartiere, il vicinato era una ricchezza comune e sebbene fame e analfabetismo si tagliassero con il coltello, si riusciva ad essere parte integrante della vita economica e politica del paese.

E sai chi bisogna ringraziare? Gli Storyteller, che fino a sessant’anni fa erano noti nei paesi con il nome italiano di Cantastorie.

In poche parole, un uomo se ne andava in giro per i paesi con il suo carretto, una chitarra, un telo e una bacchetta da maestrino. Il telo era diviso in dodici o quindici riquadri. In ogni riquadro era dipinta (dal cantastorie o da artisti locali) una scena della storia che si cantava e raccontava nella piazza del paese.

La domenica mattina era il momento tanto atteso da grandi e piccini. Al termine della funzione religiosa, ci si ritrovava nella piazza principale del paese e si attendeva l’inizio dello spettacolo. Perché questo era la narrazione a quel tempo: uno spettacolo a tutti gli effetti. Uno spettacolo in grado di informare, di promuovere cultura e conoscenza in modo itinerante, di studiare psicologia, di fare persuasione e divertire allo stesso tempo.

Il cantastorie, imbracciata la sua chitarra, iniziava a raccontare in musica, mentre con la bacchetta da maestrino indicava la scena di riferimento sul telone.
Il suono della chitarra seguiva l’andamento della storia: ne sottolineava l’intensità, ne caricava i toni, ne dipingeva i contorni.
La voce del cantastorie non era mai uguale ma seguiva i ritmi del racconto: allegra e festosa, mesta e sottotono, rauca e piena di dolore, vibrante e passionale.

Per tutta la durata della storia (una quarantina di minuti circa) nelle piazze toccate dai cantastorie non si sentiva volare una mosca. L’espressione dei volti e i respiri del pubblico seguivano all’unisono le emozioni messe a nudo da musica, parole e recitazione dell’uomo col carretto (che nulla ha a che vedere con l’amico “quello che…” succedono tutte a lui e che ci fa preferire lo storysharing allo storytelling!).

Al termine dello spettacolo, l’uomo raccoglieva i frutti della sua professionalità, della sua credibilità, della sua capacità di teatralizzare l’informazione: monete, formaggio, pane, frutta, legumi; il pubblico ricompensava come poteva e in base all’intensità delle emozioni che la rappresentazione aveva prodotto.

Chi assistiva allo spettacolo, tornava a casa con le immagini impresse nella mente e le emozioni a farla da padrone nella pancia. E lungo il tragitto non si perdeva occasione di sottolineare i dettagli rimasti scolpiti nella memoria e condividere con i compagni di viaggio i giudizi personali (sulla storia, mai sulla rapprepretazione).

Sono cambiati i tempi, si sono evoluti i mezzi di comunicazione, ma l’efficacia dello Storytelling è rimasta pressocché identica.

Mentre ascoltiamo una storia abbiamo bisogno di dettagli identificativi che attirino la nostra attenzione: può essere una caratteristica fisica importante (un naso a patata, i capelli a folta criniera, le mani piccole e ossute) o un elemento di contorno (il mantello rosso, un cavallo bianco, sette cappellini a punta, una spilla a forma di fiore). L’importante è che sia un elemento che ci aiuti ad immaginare la scena raccontata e che ci assicurerà di non dimenticarla per un bel po’ di tempo. Proprio partendo da quel dettaglio saremo in grado di riproporre la storia a chi vorrà ascoltarci.

Ma questo ci aiuta “solo” a renderla umana e memorizzabile. Ciò che rende la storia unica ed indimenticabile è la capacità di raccontarla. Riuscire ad adattare le espressioni del volto e i toni della voce ai personaggi in ogni momento della storia sono solo alcune delle capacità implicite di un buon narratore.

Non credere alla storia che raccontare le favole accompagna i bambini nel mondo dei sogni: non è così. Prova a raccontare una storia ad un bambino e ti accorgerai che nella migliore delle ipotesi ti sommergerà di domande: perché il castello aveva una torre così alta? perché il re e la regina non giocavano con la principessa? ma i sette nani cosa ne facevano dei diamanti? perché Cenerentola non si ribellava alle sorellastre?

Prova a cambiare tono di voce durante i dialoghi e vedrai i bambini sgranare gli occhi ed essere presi dalla storia tanto da sussultare ad ogni cambio di espressione del tuo viso. A questo servono le storie: a conoscere un mondo nuovo o a vedere un mondo ormai vecchio e noioso con occhi nuovi.

Ed ora se a bambino sostituisci il pubblico, alla storia il tuo brand e al cantastorie te stesso, avrai un quadro completo di come impostare la prossima campagna di marketing. Ci proverai? 😉

 

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Cinzia Di Martino
Cinzia Di Martino
Mi definiscono (e mi definisco) una persona positiva, propositiva, decisa e ottimista (e anche chiacchierona). Sono laureata in informatica, ma ho una passione spropositata per blog, social media, marketing e web design.

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