Marketing: errori comuni delle aziende locali (e possibili soluzioni)

Marketing: errori comuni delle aziende locali (e possibili soluzioni)

Marketing: errori comuni delle aziende locali (e possibili soluzioni)
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Sbagliando si impara, dice un vecchio detto. E vale anche (anzi soprattutto) per le aziende locali: ecco gli errori comuni e come risolverli.

Esterno giorno. Ore 10:30. Centro città del Sud. Temperatura esterna 37° (percepita 43°).

La via principale del paese è intasata, nonostante il ridotto numero di auto attive, e risuona di fastidiosi strombazzamenti (se di saluto, di avviso o di sfida non è dato sapere). Gli addetti al traffico prestano servizio all’ombra di un balcone fiorito, mentre autobus colmi di turisti giungono al capolinea e rilasciano per le strade un corteo di assetati e accaldati.

Lo snodarsi del corteo per la via principale segue le leggi matematiche dell’inversamente proporzionale: più è lontano il punto di ristoro prestabilito, meno corposo e compatto è il numero di turisti che lo raggiungerà nei tempi prestabiliti.

Si cerca asilo metereologico in ogni singola attività commerciale che si incontra lungo il cammino, ma in realtà si è alla disperata ricerca di una gelateria.

In situazioni come quella descritta, non esiste infatti nulla di meglio di un buon gelato per rinfrescarsi e dissetarsi e rimettersi in condizione di affrontare le scarpinate culturali programmate da tempo.

Ma se non abiti in questa città, quanto è facile trovare una gelateria? Non molto in verità perché:

  • Difficilmente la si trova guardando le insegne: i nomi sono così fantasiosi e “tipicamente locali”, se non addirittura dialettali che la parola (o l’immagine di un) Gelato/IceCream difficilmente compare. [E’ più probabile trovarla seguendo a ritroso il flusso di gente con espressione gaudente e cono gelato in mano.]
  • Impossibile trovarla cercando tavolini e ombrelloni, nonostante i locali spesso siano striminziti (vuoi per gli affitti troppo alti, vuoi per l’attività prettamente stagionale).
  • Ammesso e non concesso di riuscire a trovarla, ti pare che il gusto da scegliere tu possa comprenderlo solo guardando il bancone e che al massimo siano presenti delle etichette home made, scritte a mano con pennarello blu e con i gusti rigorosamente in lingua italiana (e gli stranieri?!)?
  • Stendiamo un velo pietoso sugli addetti alla vendita e i siparietti che sono costretti a fare per riuscire a capire (a gesti) che vuoi un cono bacio e panna (sia se sei italiano – perché spesso vaschette e nomi vanno a coppie e sistemati in ordine cromatico, quindi le dieci varietà di cioccolato e derivati sono impossibili da distinguere all’occhio umano -, sia se sei straniero – visto che non riesci a decifrare le scritte sulle etichette).

Supponiamo che alla meno peggio, tu sia riuscito a mangiare un gelato. Che ricordo ti porterai dentro? Buono se il gelato che hai ingurgitato era davvero di ottima qualità. NP (non pervenuto) in tutti gli altri casi.

Ti rimetti in cammino e ti rendi subito conto di non aver ancora espiato la tua colpa.

Devi fare i conti con i negozietti di souvenir (che, lo dice il nome stesso, difficilmente sono meta quotidiana degli abitanti della città). Anche in questo caso, poche le insegne su cui campeggia la parola Souvenir. Contati gli esercizi in cui siano presenti indicazioni e descrizioni in doppia lingua. L’imbarazzo dell’addetta alla vendita si taglia a fette quando qualche turista azzarda una frase diversa da “The pen is on the table”, e per tutta risposta si sente dire “Yes, 5 iurous (euro)” (cifra standard di partenza per l’oggetto meno costoso – ma poi sarà davvero il prezzo giusto?).

Infine, passeggiando per le vie del centro cittadino, ti imbatti in vetrine che espongono fogli A4 con scritte fantasiose tipo “Pronti? Partenza? Via!” (in arial, stampate in casa) e ti chiedi (da italiano) quale possa essere il senso, cerchi di analizzare se sia l’anagramma di un messaggio in codice per pochi eletti, pensi che sia il punto di inizio di una caccia al tesoro paesana, finché non chiedi lumi alla titolare e ti senti rispondere che l’avviso si riferisce all’apertura della stagione degli sconti… e rimani pietrificato (da straniero, vedi il foglio, fai spallucce e vai avanti – e per fortuna non chiedi spiegazioni di nulla).

Quanto descritto l’ho vissuto in prima persona e mi sono chiesta come si possa portare avanti attività commerciali in condizioni simili, pretendendo di guadagnare. E voglio proporti alcune soluzioni a costo (quasi) zero attuabili da subito.

#1. Fatti trovare.

Rendi visibile a colpo d’occhio il tuo locale, da ogni prospettiva. Che sia con un arco fiorito, un’insegna tridimensionale, un roll-up avvolgibile o una bandiera, fai tu, ma distinguiti e fatti notare!

#2. Presentati nel modo migliore possibile.

Un’attività commerciale può essere per sempre, dipende da come ti presenti e dalla professionalità con cui offri il servizio. Un logo senza tempo non è così semplice da trovare come può sembrare. Usa immagini universalmente riconoscibili e nomi chiari, inequivocabili, semplici da memorizzare e non storpiabili (ed evita il dialetto – a meno che tu non sia un Brand storico nel paese). Se la tua condizione attuale non risponde ai criteri (quanto meno grafici) forse è giunto il momento di pensare ad un restyling.

3. Cura i dettagli.

La comunicazione relativa ad un’attività commerciale deve avere un’impostazione grafica studiata e ben definita. Il logo è un elemento imprescindibile della comunicazione: che si parli di etichette di gusti di gelati o di prezzi o di inizio della stagione degli sconti, bisognerà utilizzare una riconoscibile struttura grafica con logo in bella mostra. Si chiama Branding. Si legge Professionalità e Buona impressione.

4. Pensa in grande.

Non puoi sapere chi entrerà domani nel tuo negozio: non farti cogliere impreparato. Assicurati di parlare la lingua universale e offri un servizio al top!

5. Socializza.

Qualunque attività ha ormai un sito (se ne sei sprovvisto, ecco perché faresti bene ad attivarti subito!) o una pagina su Facebook o Twitter o Google Plus (o quanto meno ha un profilo – ahi ahi ahi!). Perché allora non spendere qualche euro nella stampa di una vetrofania su cui siano riportati l’indirizzo del sito (oltre che il relativo QRCode) e i canali social su cui si è presenti? Hai visto mai che ti inventi un contest o qualche altra attività social extra, pubblicizzata così in locale e senza spese aggiuntive.

Non esistono due pesi e due misure: se vuoi vendere, usa la stessa misura che utilizzi per comprare e vedrai che non fallirai.

E adesso a te la parola: se da “turista” hai vissuto esperienze simili, cosa avresti voluto dire al titolare dell’attività? Se da titolare ti sei rivisto in qualche situazione descritta, quale delle soluzioni suggerite pensi di mettere in pratica? Have Fun & Shae It 😉

 

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Cinzia Di Martino
Cinzia Di Martino
Mi definiscono (e mi definisco) una persona positiva, propositiva, decisa e ottimista (e anche chiacchierona). Sono laureata in informatica, ma ho una passione spropositata per blog, social media, marketing e web design.

10 Comments

  1. Daniele Imperi ha detto:

    Premessa: se vuoi mangiare un gelato, vieni a Roma da Fassi: 3 gusti con doppia panna e tanta scelta 😀
    Qualcuno preferisce Pompi, ma è per fighetti, hai una coppetta striminzita e il gelato è come gli altri.

    Passando al tema del post: la situazione è la stessa a Roma e ovunque. A me, per farti un esempio, piace andare al cinema, ma sai che spesso diventa un’impresa trovare info online sulla programmazione e i prezzi? La maggior parte dei cinema romani non ha un sito, chi ce l’ha si unisce ad altri, perché sono sotto lo stesso padrone, creando solo confusione. I siti esterni, poi, talvolta hanno info errate.

    In Italia, purtroppo, vige la regola del fai da te: chi fa da sé fa per tre, certo, ma quando si tratta di marketing, fa 3 volte peggio se fa da sé.

    Vanno a risparmio, ma non capiscono che non puoi arrangiare la comunicazione. Ho visto spesso, in negozi di tutti i tipi, cartelli fatti a mano. Ora, passi che si trovino sulle bancarelle di frutta e verdura, ma in negozi di abbigliamento, per esempio, specie se in centro, no.

    E tutto questo arrangiamento, poi, continua online: meglio fare da soli. Mi faccio il sito da me, mi scrivo da me i testi, mi curo da me la pagina Facebook.

    Io chiederei a loro: ma sono aumentati i vostri guadagni da quando siete online e fate tutto da voi?

    • Cinzia Di Martino ha detto:

      Hai ragione @danieleimperi:disqus: la domanda è davvero interessante. E sono certa che la risposta sarebbe: no, i guadagni non sono aumentati, a dimostrazione del fatto che piccoli accorgimenti e canali social non servono a nulla.
      Meglio, molto meglio, tappezzare di manifesti 6×3 o infestare di volantini il circondario: con quelli si che si fanno i veri affari 🙁

  2. Lorenzo Tiribocchi ha detto:

    Concordo in pieno, molto spesso vedo delle attività con dell’enorme potenziale ma completamente allo sbaraglio, dove con un paio degli accorgimenti da te indicati, potrebbero dare una svolta al loro giro di affari.
    Molto spesso penso sia colpa della mancanza di una preparazione iniziale e questo è un grosso errore perché volenti o nolenti il marketing è oramai fondamentale anche (anzi, forse sopratutto) per attività medio/piccole.

    La qualità scadente è una cosa che mi crea dispiacere perché io sono un po’ tanto della scuola ” Fai da te”, ho sempre sostenuto che con un po’ di testa, fantasia e qualche guida si possa creare e gestire quello che serve alle nostre esigenze.
    Sicuro che poi per certe questioni un po’ più complicate (come potrebbe essere un logo un po’ più “raffinato”) sarebbe meglio affidarsi a un professionista.

    Come hai indicato però, creare un minimo di marketing per promuoversi e per avere un vantaggio sulla concorrenza, non richiede nulla di trascendentale.

    Cosa direi al titolare? Consiglierei di leggere questo post, e poi uscirei dal negozio senza voltarmi, con il sole che m’illumina di fronte creando un effetto scenico degno delle migliori animazioni Giapponesi 😀

    • Cinzia Di Martino ha detto:

      Grazie @lorenzotiribocchi:disqus l’effetto scenico è un MUST assoluto!
      Penso che ciò che non permette di dare il massimo e realizzare in toto i propri sogni sia la burocrazia, maledettamente lenta ed eccessiva in Italia.
      Per quanto riguarda il resto, forse il problema non è tanto il FaiDaTe, quanto il livello di conoscenza di base: condizione necessaria e sufficiente alla riuscita degli affari.
      Se anche il gelato fosse la mia più grande passione, non aprirei mai una gelateria: in Italia per fare il gelataio devi anche essere 1/2 commercialista, 3/4 avvocato, 1/5 arredatore e 2/3 pubblicitario. Non stai più vivendo il tuo sogno. Non puoi essere guidato solo dalla passione! 🙁

      • Lorenzo Tiribocchi ha detto:

        Verissimo anche questo, ogni volta che sento storie di grandi aziende (un classico di quelle a stelle e strisce) che nascono semplicemente e magari da un povero Garage, un po’ piango dentro.
        Qua per una “semplice” attività possono passare mesi tra autorizzazioni e burocrazia varia, per non parlare dell’apporto economico da sostenere non indifferente…
        E per restare in tema gelaterie il Fondatore della “Häagen-Dazs” (uno dei pochi gelati non Italiani accettabili 🙂 ) vendeva gelati per strada su un carretto, mi chiedo se qui in Italia sarebbe riuscito a fare il “grande salto”

  3. Marino Baccarini ha detto:

    Bellissima idea per un post e consigli di utilità lapalissiana. Tuttavia, leggendo post e commenti, avverto una strana sensazione e una domanda mi sorge spontanea. Perchè suddividere le aziende in grandi medie piccole e piccolissime? Le attività “locali” non hanno le stesse necessità di MarCom che hanno anche le multinazionali? Ho l’impressione che ciò che scrivono gli “esperti” valga solo per le “aziende” e non per le imprese locali e questo mi porta invariabilmente a domandarmi se tutte le grandi e faticose strategie non siano pensate solo per srl e spa mentre, per quello che chiamiamo “tessuto economico”, le migliaia di partite iva e attività commerciali sparse per lo stivale, non si facciano considerazioni di secondo grado. Contorto? Mi spiego meglio. Provate a leggere i post dei SMMarketers e provate ad applicare i loro consigli alle gelaterie, con i loro budgets, la loro cultura, la loro capacità di fare marketing communication…e la loro conoscenza delle tre lingue base per l’italico turista (EN, FRA, DE)… (tono del post = provocatorio non offensivo). Non sarebbe meglio chiedere alle CCIAA che oltre a chiedere denaro per iscrizioni che a poco servono di prevedere una sorta di vademecum/test per chi richiede la Partita Iva e spingere/costringere a dimostrare di possedere conoscenze (almeno di base) sulla comunicazione d’impresa e il marketing? E se vuoi aprire una gelateria in località turistica anche la conoscenza di uno straccio di inglese per il turista?

    • Cinzia Di Martino ha detto:

      Caro @marino_baccarini:disqus troppo spesso vedo grandi sognatori tentare il tutto per tutto pur di seguire i loro sogni, costretti da scartoffie e autorizzazioni e documenti vari a perdere tempo, a girare a vuoto e ritrovarsi senza più voglie né forze a vivere un incubo, invece che un sogno.

      Mi chiedo perché avere bisogno di un test di conoscenza d’inglese quando dovrebbe essere la norma?!
      Se si ottimizzassero i tempi e le procedure di rilascio incartamenti e si inserisse nel pacchetto burocratico un corso accelerato di marketing penso sarebbe meglio per tutti (costringere a dimostrare di avere conoscenze, in Italia si tradurrebbe in enti che ne approfitterebbero e imprenditori che farebbero i furbi) o mi sbaglio?

      • Marino Baccarini ha detto:

        Concordo @Cinzia Di Martino, ahimè lo faccio “amaramente” perchè capisco il tuo punto di vista. Questo è un paese dove alle brillanti idee si associa quasi per forza la certezza che per realizzarle si pagherà un prezzo alla burocrazia e al malaffare. Dai tempi della scuola ripeto che l’Italia potrebbe lavorare solo con il turismo sei mesi l’anno e chiudere per ferie i restanti sei! Ma temo che la nostalgia della “fabbrica” sia più forte del desiderio di imparare una lingua straniera e lavorare nel turismo. Tuttavia mi domando perchè sia obbligatorio far frequentare il corso HACCP agli addetti nell’industria alimentare e non obbligare chi questi prodotti deve venderli a frequentare un mini corso per apprendere le basi del marketing e della pubblicità. Per quanto riguarda l’inglese come seconda lingua mi astengo perchè sono educato e non sta bene scrivere parolacce parlando del MIUR e per non finire OT.

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